La città esplicita: oltre la disfatta.

parte IV

Associazione Psicogeografica Romana.

Nella Città Esplicita non vogliamo compagn* piagnon* in giro. Diciamolo chiaramente noi siamo contrari all’autocritica. Tutti sono in crisi e ci vanno ancora giù più pesanti con se stessi, si prendono a cazzotti da soli manco avessero tutti dentro un loro Tyler, come se la colpa della propria meschina condizione fosse ascrivibile all’individuo e non al neoliberismo. Non si può entrare nella Città Esplicita con il vostro alter ego che vi pista la psiche, perché quell’alter ego è il Nuovo Capitale. Ma con che cazzo di compagn* ci troviamo a che fare fuori dalla Città Esplicita? Privi della loro Siberia non sanno dove andare a farsi fucilare. Così il plotone di esecuzione ce l’hanno dentro e il freddo siberiano anche. Possiamo fare a meno dell'autocritica, essa offre il fianco soltanto ai fascisti. Perché mettere in risalto le nostre deficienze e non i nostri successi e le nostre passioni più violente e vincenti? Cambiare idea è da imbecilli, il nemico non fa autocritica. Né ci occorre l’autoironia. Questa sta al capitalismo come l’autocritica sta allo stalinismo. Quanti coglioni si prendono per il culo da soli quando il mondo già ti prende per il culo sufficientemente? La crisi di ciascuno va superata con ostinazione e pertinacia solo insistendo nel nostro sublime e terrifico errore: il soviet. 

La città esplicita: oltre la disfatta.

parte IV

Associazione Psicogeografica Romana.

Nella Città Esplicita non vogliamo compagn* piagnon* in giro. Diciamolo chiaramente noi siamo contrari all’autocritica. Tutti sono in crisi e ci vanno ancora giù più pesanti con se stessi, si prendono a cazzotti da soli manco avessero tutti dentro un loro Tyler, come se la colpa della propria meschina condizione fosse ascrivibile all’individuo e non al neoliberismo. Non si può entrare nella Città Esplicita con il vostro alter ego che vi pista la psiche, perché quell’alter ego è il Nuovo Capitale. Ma con che cazzo di compagn* ci troviamo a che fare fuori dalla Città Esplicita? Privi della loro Siberia non sanno dove andare a farsi fucilare. Così il plotone di esecuzione ce l’hanno dentro e il freddo siberiano anche. Possiamo fare a meno dell’autocritica, essa offre il fianco soltanto ai fascisti. Perché mettere in risalto le nostre deficienze e non i nostri successi e le nostre passioni più violente e vincenti? Cambiare idea è da imbecilli, il nemico non fa autocritica. Né ci occorre l’autoironia. Questa sta al capitalismo come l’autocritica sta allo stalinismo. Quanti coglioni si prendono per il culo da soli quando il mondo già ti prende per il culo sufficientemente? La crisi di ciascuno va superata con ostinazione e pertinacia solo insistendo nel nostro sublime e terrifico errore: il soviet.  

Certo, i soviet che abbiamo in mente e cui ci adoperiamo sono ormai molto diversi dai primi soviet russi, italiani, tedeschi, olandesi. I soviet che abbiamo in mente e che costituiremo noi sono tanto tanto “funny”. La storia si presenta la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa e la terza volta, chi l’avrebbe mai detto, come “funny”. Non pensiate che per “funny” intendiamo solo “divertente”, c’è una certa complicità tra la parola “divertimento”, la parola “sovvertimento” e la parola “pervertimento”.  Non si può migrare con modalità acefale da questo mondo senza una certa attitudine al divertimento e al gioco sovversivi e perversi. Per funny intendiamo qualcosa di simile ai “funny games”, qualcosa di “piacevolmente molesto” e senza ritegno civile, qualcosa che apprendiamo dalla filosofia delle pratiche bdsm senza per questo pretendere che tutti le pratichino davvero. Come sostengono le femministe del fetish hegelismo: “Quando nell’amore si è chiesto il dominio, il dominio non vi potrà più chiedere niente”. Ora, come abbiamo detto nella precedente parte, il nostro potere è “restituente” e restituiamo tutto il potere non a chi ce l’ha consegnato per massacrarci tra noi o davanti allo specchio, ma ai “funny soviet” e dentro tali soviet si prenderanno decisioni e si preparerà una nuova generazione appartenente al wo/man gemeinwesen in grado sopportare, gestire e rilanciare emozioni talmente forti proprio per via di questo continuo allenamento al FUN FUN FUN nel cuore della stessa guerra di classe

Cerchiamo di spiegarci meglio. Vogliamo dei soviet esplicitamente CONTRONATURA? Sì e no. Sì perché siamo contro l’idea che vi sia un ordine naturale sulla cui base si possa decidere quale piega debba prendere la vita associata e perché ci piacciono tanto le pratiche contronatura. No, perché occorre andare OLTRE QUESTE CATEGORIE. Noi riteniamo che le condizioni siano tali che si possa farla finita una volta per sempre con dicotomie dure a morire come “natura e contronatura”. Inoltre, sarebbe banale ridurle esclusivamente alla questione del prenderlo in culo, del poliamore o del gusto dell’abusarsi reciprocamente consensuale e non, ad esempio ad altre questioni: come i processi psichici, le tecnologie, l’economia, l’ambiente o le famiglie di nuova generazione. Occorre ribaltare e sbarazzarci intanto di quel grande moralista capace di trattare le donne solo con la frusta che fu Nietzsche. Questo mistico e fisiologo a un tempo, che attribuiva ancora idealisticamente tutta la potenza dell’abiezione alla natura e tutta la potenza della contronatura all’ascetismo. Ovviamente il discorso vale anche per “cultura e controcultura”. Perché si potrebbe dire che la natura sta alla cultura come la contronatura sta alla controcultura.

Se natura e cultura sono una dicotomia superata da tempo, quella tra contronatura e controcultura perché resiste tra noi? L’unico modo per andare OLTRE è una critica radicale e feroce del SENSO DI CIVILTA’ in quanto solo ai civilizzati occorrono ancora queste rassicuranti e squallide categorie. Senza dover creare una nuova civiltà, possiamo sperimentare un qui ed ora nella Città Esplicita dove non si abbia più desiderio né passione di sentirsi per la natura o per la contronatura, né per la cultura o la controcultura. Occorre comprendere che siamo prodotti dal capitale e che il capitale è un prodotto di un rapporto sociale umano, in questo senso non c’è più niente di naturale né di contronaturale, ma non per questo diventa tutto cultura o controcultura. L’antropologia è una disciplina morente e il concetto di cultura di Tylor è superato da tempo immemorabile. La nostra prodigiosa ambizione è quella di tenere in uno stato di anomia perenne la società. In questo la Kultur o la Civilisation sono già allo sbando completo, sono da buttare giù: “La Città Esplicita, intesa nel suo ampio senso etnografico, è quell’insieme complesso che include la conoscenze esperienziali e non quelle accademiche, un certo sospetto per tutte le credenze e per il magico in generale (FUCK MAGICK! FUCK CAPITALISM!), un attitudine per l’anti-arte, una decisa ostilità per la morale, la demolizione di qualsiasi forma di diritto, una capacità disinvolta di non avere io e di avere stile, qualsiasi altra abilità che porti a non sedimentare mai e poi mai abitudini acquisite di modo che la società viga in uno stato continuo di anomia che non le permetta di diventare in nessun momento Stato”.

Tuttavia ci è necessario scrivere un CODICE DELLA CONTRONATURA à la Morelly. Si sa che il CODICE DELLA NATURA fu di ispirazione a Stalin e che oggi , si potrebbe dire, utopie così autoritarie fondate sull’ordine naturale siano d’ispirazione più per i tradizionalisti e i fascisti che per i comunisti. L’utopia non è più una forma di socialismo sottosviluppato è diventato una forma di nazionalsocialismo avanzato. UN CODICE DELLA CONTRONATURA, in quanto contro-utopia, potrebbe essere utile per mettere a fuoco nel frattempo il concetto classico e non cadere più in tranelli binari. E qui avrebbe molto spazio invece l’insieme delle pratiche che vanno contro la tradizione. Perché se da una parte dobbiamo fare un salto in avanti, dall’altro nelle retrovie dobbiamo combattere senza tregua e senza mai fermarci l’esercito degli imbecilli che vorrebbero restaurare una condizione superata che non è mai stata naturale ma sempre una costruzione sociale della famiglia, della sessualità, dei generi, delle differenze etnografiche, del lavoro, dell’ambiente, dell’educazione dei bambini, delle forme di divertimento, cercando di stabilire cosa sia una società a partire da ciò che è “normale” e ciò che è “patologico” in quanto contronaturale. Scrivere un codice della contronatura significa prender partito per il patologico e rovesciare lo stigma. Ma non basta, lo stigma dovrà estinguersi. Non c’è spazio in questa prospettiva per gli indecisi, i perditempo, i portaborse della politica istituzionale e chi ancora gioca a sentirsi rotto dentro e fa troppi ragionamenti autocritici e autoironici per restare all’interno del SENSO DI CIVILTA’ più idiota. Tutto si deciderà con una migrazione acefala fuori da questo mondo, verso la città esplicita, presso noi stessi, fuori ovviamente da ogni parlamentarismo.

Il Movimento Transfemminista attuale è l’unico che sta facendo saltare nelle strade e nelle piazze la dicotomia natura e contronatura, cultura e  controcultura. Insorgente, combattente, “funny”: il nemico non ha mancato di insultarlo come “isterico”. Ma certo, che cosa aspettiamo a rivendicarci l’isteria: non è altro che una splendida e abnorme riserva di desiderio che non aspetta altro di rovesciarsi travolgente su* propr* amant* e contro la società fascista. Così come è giusto rivendicarsi la ninfomania. Gli spazi di questo stato di agitazione permanente transfemminista vengono talvolta chiamati eterotopie. Ma basta, per favore, non ne possiamo più di Foucault! Le eterotopie sono diventate da tempo gli spazi delle nicchie di mercato neoliberista formali o informali. E anche laddove si presentino nella forma dell’autoproduzione nel caso di mancanza di auto-distribuzione restano tali. Qualsiasi studente di liceo che abbia letto Marx sa che la merce non si realizza nel momento della produzione ma in quello della circolazione. Altri considerano il movimento transfemminista in modo molto più interessante un “uterotopia”. Il termine è ingegnoso, ma vogliamo ridurre davvero le donne all’utero e non alla loro psiche e al loro corpo considerati unitariamente? E poi non è troppo discriminante per chi non ha un utero ed è già discriminato dalla società fascista? Quindi bel termine, ma inutile, buono solo per l’arte.

Il Movimento LGBTQI+, considerato separatamente, a torto, è altrettanto avanzato e fa saltare forse tale dicotomia con detonazioni esplosive ancora più spaventose, tuttavia il suo modo di procedere è ancora troppo comportamentale e non implica tuttora uno stato di agitazione permanente proprio che si prenda le strade e vada a stanare i fasci nei loro covi così come le donne stanno mettendo in ginocchio i maschi etero e il patriarcato. Per ora sono politicamente nelle strade con il movimento transfemminista e non potrebbe essere diversamente. Gli obiettivi politici sono gli stessi. Sono proprio i compagni etero gli unici a restare fermi, un branco di imbranati e pusillanimi, un residuo patriarcale che li porta a rischiare l’impotenza politica, altalenandosi tra esibizionismo virile comunista etero represso e momenti di sconforto disfattista piagnone insopportabile. Mentre attorno a loro tutto si muove e l’assalto è già partito da un pezzo, loro manco coprono a dovere le retrovie. La Città Esplicita abbiamo scritto è uno spazio elastico, esso è nella tua stanza, nella tua abitazione, nel tuo centro sociale, nel tuo locale, nelle tue strade, nelle tue piazze, tra i tuoi amici, e così si muove dentro e allo stesso tempo avvolge i cortei. I maschi etero inchiodati a terra e che mettono radici come tristi salici piangenti non devono per forza di cose andarlo a prendere nel culo. Lo abbiamo detto sarebbe banale ridurre la questione alla sola analità anche se non farebbe loro affatto male, Maria non aveva torto. Ma lasciamo che nella Città Esplicita l’eterosessualità come ci ha insegnato Velena abbia la possibilità di diventare minoranza ed essere una delle declinazioni possibile del transgenderismo originario.    

Torniamo per un momento al BUREAU DELE PASSIONI di cui abbiamo scritto nella seconda parte. Esso è un “funny soviet” speciale, il suo obbiettivo è il doppio gioco con il nemico fascista per stanarlo e per ottenerne informazioni preziose per la guerra di classe. È la costituzione di un’intelligence da parte nostra, è il nostro KGB pieno di amore e politica sexy. Come scrivevano le compagne del Fetish Hegelismo già nel 1999: “non c’è miglior modo di condurre la nostra lotta di classe che nel non scegliere mai più maschi che non siano proletari se non per azioni di spionaggio e infiltrazione”. Allora non si parlava sufficientemente della molteplicità dei generi che fa sentire anche la definizione LGBTQI+ in fondo stretta. Tutti i generi del BUREAU occorrerebbe che cooperassero per dare l’assalto alle feste della borghesia e dei fasci, scatenare l’inferno, mandarne fuori controllo l’esito con la sola forza delle nostre emozioni e delle nostre attitudini così sensuali che abbiamo imparato a mettere in pratica senza assecondare mai il dominio del Nuovo Capitale come nel sessismo più marcio.  Non che ci manchi il gusto per il torbido, ma abbiamo imparato a rovesciarlo contro il Nuovo Capitale per farlo marcire, essendo esso un nostro prodotto, marciamo noi allegramente e marcisce esso paurosamente con noi: ne usciremo come nuovi. Enjoy the THE FUNNY REVOLUTION!

Il disfattismo appartiene soprattutto ai compagni maschi etero repressi e piagnoni, ma non ci è mancato di confrontarci con lesbiche, transessuali, transgender, gay, donne etero, intersessuali che mostrassero comunque sfiducia sul presente e troppo appiattiti sulla politica parlamentare. È vero là si fanno le leggi e le leggi hanno un ricaduta sulla vita di tutti i giorni, inoltre chi è al governo legittima informalmente comportamenti omofobi, razzisti, moralisti, contro le donne e contro i compagni stessi piagnoni etero repressi per il solo fatto di tifare soviet. Questo disfattismo deve finire. Il nostro humour non deve dipendere dalle oscillazioni dei poteri parlamentari, deve essere autonomo, darsi una propria regola, senza per questo fare l’errore dell’autonomia politica di un tempo di volersi dare anche un ordinamento emergente, un potere costituente.  Per darsi un propria regola occorre averne poche. E soprattutto avere TEORIA. Senza teoria, nessuna prassi e il lamento è inutile. Abbiamo spesso prassi avanzate: una presenza dei molti davvero splendida e sconvolgente senza che i molti abbiano, tuttavia, una teoria chiara. Molte teorie sono soggette all’obsolescenza programmata e a far spazio ad altre teorie più stravaganti, lasciando la prassi scoperta. Essa allora evolve più lentamente della teoria stessa e spesso finisce per essere inconcludente. Noi abbiamo le idee chiare perché abbiamo teorie chiare, abbiamo teorie chiare perché abbiamo una prassi decisa. Non ci lamentiamo mai perché sappiamo che la soggettivià è tutto: siamo contro ogni disfattismo, dovessimo restare anche in quattro a difendere nel pianeta il comunismo, perché sappiamo aspettare il nostro momento.

La nostra idea di migrazione acefala verso la Città Esplicita è sì una forma di separatismo, ma non tanto spaziale come a un primo momento potrebbe sembrare. La teoria viene più dai collettivi femministi. Si tratta di separarci dal popolo del capitale perché separandoci da questo popolo non saremo più né un popolo né il capitale: ma un wo/man gemeinwesen. Per chiudere il nostro pamphlet: la Città Esplicita non è come le città invisibili di Calvino, né vi sono sparpagliati comitati invisibili all’insaputa di tutti che ne vogliano prendere la testa. Essa è l’insurrezione invisibile di milioni di menti, incontrollabile e senza capi, nelle città reali di tutto il mondo. Niente di più niente di meno. A questo obiettivo tanto imbarazzante per il Nuovo Capitale a causa dela sua abiezione politica e urbanistica ci adoperreremo ogni giorno e ogni notte. Tutto il potere, eccetto noi stessi, ai funny soviet!