CAPITOLO I

CHE COSA È IL PENSIERO MAGICO?

Il disprezzo della dialettica proprio dell’empirismo si condanna da sé portando alcuni tra i più sprovveduti empiristi alla più squallida delle superstizioni, il moderno spiritismo.

Friedrich Engels, Dialettica della Natura

Contrariamente a quanto possano far ritenere le interpretazioni psicologiche, etnografiche ed archeologiche (Wundt, Tylor, Frazer, Lehmann, etc.) del pensiero magico risalenti a prima del “Saggio di una teoria generale della magia” scritto tra il 1902 e il 1903 da Marcel Mauss ed ancora oggi operanti in forme empiriste più raffinate, esso non è mai stato un fenomeno riguardante esclusivamente l’individuo e non è stato mai dimostrato, se non per via ipotetica, che sia men che mai la forma originaria del pensiero umano. Non c’è niente che faccia presumere che il pensiero magico sia alcunché di cui non potremmo fare a meno perché radicato a tal punto nella vita emozionale della specie umana fin dalla sua comparsa.

La critica radicale oggi ha come sua priorità argomentazioni del tutto diverse da quelle finora tentate da razionalisti e scientisti. È messa alla prova per dimostrare come il pensiero magico non appartenga costitutivamente, quasi fosse un suo attributo necessario, alla specie umana e, per la prima volta, rovesciare dialetticamente i termini della genealogia delle tecniche: non la magia ha prodotto per affinamento le tecniche ma, piuttosto, le tecniche pratiche hanno avuto come effetto collaterale l’invenzione delle tecniche magiche. Il pensiero magico, infatti, si è prodotto a partire dall’insieme delle tecniche pratiche per via della mancanza di efficaci soluzioni ai nuovi problemi concreti cui la specie si trovò innanzi con i cambiamenti di scala della vita associata. Tale insieme di teniche pratiche non erano più in grado di porvi rimedio.

Il pensiero magico è stato per lungo tempo definito dai suoi nemici razionalisti e scientisti come un insieme di errori di percezione, illusioni, allucinazioni accompagnate da stati emozionali acuti ed inconsci, dovuti a nevrosi, direbbero oggi gli psichiatri empiristi del DSM V: OCD. Tali errori sarebbero catene di associazioni di idee incontrollate che funzionano per analogia che si sono sempre applicate ai rituali magici e alle divinazioni attraverso “simpatia” o “antipatia” tra le cose, i corpi e gli avvenimenti. Ma poiché tali catene di associazioni analogiche di idee sono interrotte dall’obiettivo stesso della tecnica magica non è corretto descriverle esclusivamente con la psichiatria o la psicanalisi (come ha tentato, ad esempio, Adorno).

Tutta la magia funziona per “simpatia” o “antipatia”, le cui leggi sono la “contiguità”, la “similarità” e l’“opposizione”. Mauss osserva che tali catene di associazioni analogiche di idee considerate solitamente “fortuite” sono del tutto equivalenti, in realtà, ai processi psichici di causa ed effetto e, quindi, possono trarre in inganno facilmente anche l’empirista più convinto del proprio metodo scientifico. Ed è proprio per questa ragione che riteniamo il pensiero magico un insieme di tecniche pur senza conseguenze pratiche e non semplicemente un insieme di rituali basati sulle nevrosi e le psicosi più disparate.

La “contiguità” parte dal principio che totum ex parte. A questo modo ogni fiamma contiene il fuoco, ogni osso di morto contiene la morte e un solo capello è capace di contenere il principio vitale di un uomo. La conseguenza magica è che non occorre che una cosa, una persona o un avvenimento siano in contatto diretto con un’altra cosa, persona o avvenimento, è sufficiente una parte di questi. Basta un capello della persona, obbiettivo della fascinazione, per creare un filtro magico: tale processo psichico è del tutto equivalente all’idea del “contagio”. La “similarità” parte dall’assunto che similia similibus evocantur. Questa non procede se non mettendo in causa immediatamente la terza legge, quella di opposizione. Ad esempio il simile che evoca il simile allontana il contrario, “quando provoco la pioggia versando dell’acqua, io faccio sparire l’aridità”. Ne consegue che l’opposizione ha una sua propria qualità: “il contrario viene allontanato dal contrario”.  

Ora la grande scoperta di Mauss è che il pensiero magico non sarebbe mai sorto se non si fosse formata una comunità numerosa, in quanto per l’uomo isolato non “c’è niente che possa obbligarlo ad associare in maniera categorica, come fa la magia, le parole, i gesti o gli strumenti con gli effetti desiderati, se non l’esperienza, di cui abbiamo appunto constatato l’impotenza”. Ad imporre la convezione del giudizio magico è che le catene di associazioni analogiche di idee “si riproducano nella mente di numerosi individui o, piuttosto, di una massa di individui”. Non faremo la “robinsonata” di isolare l’individuo dal suo ambiente sociale, tuttavia questo è l’indizio più importante per comprendere come abbia attecchito il pensiero magico nella specie.

Sia Durkheim che Mauss negli studi sulla “doppia morfologia” sociale di alcune popolazioni si sono accorti come la magia fosse potente nei momenti di riunione della comunità e quasi ridotta a niente, quasi inesistente, nei momenti di dispersione di questa. Giacché i momenti di dispersione non prevedono individui isolati, ma piccole tribù o singole famiglie numerose mentre i momenti di riunione prevedono la ricongiunzione di tutte le tribù o delle famiglie, è possibile affermare che quando la specie umana sia stata nelle sue ere più arcaiche del tutto dispersa fosse priva di pensiero magico. Tuttavia non le mancavano le tecniche pratiche che le occorrevano per ripararsi, procurarsi il cibo, orientarsi nel giorno e nella notte, dirimere contese interne e difendersi dalle minacce, etc .

Da queste tecniche pratiche elementari si sono prodotte tecniche sempre più ingegnose che hanno prodotto le opportunità per formare comunità più o meno numerose. La numerosità ha creato le condizioni perché dalle tecniche pratiche sorgessero anche le tecniche magiche: la scala del riparo, del cibo necessario, dei movimenti del gruppo attraverso i territori di giorno e di notte, della deliberazione sulla contesa tra individui della stessa tribù o di diverse tribù, della difesa dalle minacce, etc. era cambiata e richiedeva più ingegno. La magia offriva senza sforzo alcuno soluzioni laddove l’ingegno umano non poteva ancora arrivare. Ma non solo: formandosi comunità, si sono prodotte anche le gerarchie e le prime forme di esercizio di potere vero e proprio. Noi evidenzieremo sempre come la magia sia strettamente correlata fin dal suo sorgere con l’esercizio del potere essendo essa stessa un insieme di tecniche che non si avvale dell’ingegno umano ma proprio di un potere, quello magico.

La differenza tra tecniche pratiche e tecniche magiche sta nella loro efficacia, le prime tendono sempre ad ottenere, a parità di condizioni, il risultato voluto, le seconde no. Quando le seconde ottengono il risultato voluto si tratta di coincidenze facilmente ricostruibili con argomentazioni pratiche che ne dimostrano sempre la riuscita fortuita. Oppure si tratta di fatti sociali più complessi dovuti al profondo coinvolgimento emozionale degli individui. Prendiamo in considerazione, ad esempio, la simulazione del mago. Egli sa e non sa allo stesso tempo di simulare. Ad ogni modo, quando il mago guarisce un individuo profondamente coinvolto emozionalmente con il pensiero magico non si tratterà che di autoguarigione dovuta alla potenza stessa delle emozioni investite nella superstizione. Qualche problema sorge quando è il mago stesso ad ammalarsi, in quel caso, come ci dice Mauss, egli si rende immediatamente conto di essere un simulatore, ma perlomeno gli resta la speranza e la superstizione che gli altri maghi non lo siano.

Molto di ciò che è stato chiamato “superstizione” non è affrontabile con categorie razionali, un gruppo può affermare che un altro gruppo sia superstizioso e quest’ultimo affermare la stessa cosa del primo gruppo. La stessa falsificazione dei razionalisti è accusata di essere superstiziosa dagli antropologi culturali, perché come abbiamo visto nel momento in cui gli individui investono tutta la propria vita emozionale nella magia, le emozioni possono retroagire in maniera positiva o negativa, anche se in questo non c’è niente di magico e, comunque, essendo un fatto “sociale”, talvolta sottovalutano le profezie auto-avveranti che non hanno anch’esse nulla di magico, ma sono esclusivamente la conseguenza della prevedibilità dei comportamenti di ciascun individuo all’interno di un gruppo che condivide la stessa credenza.

Dunque, non si può ridurre la superstizione ad “errore” quando il proprio punto di vista è altrettanto errato. Il problema principale è dunque quello di distinguere dialetticamente il vero dal falso, che è un problema che appartiene più alla teoria critica che non alla scienza empirica, i cui contributi più importanti alla specie sono nati più da percorsi non lineari, casuali, anarchici come, ad esempio, nella scoperta della vaccinazione e che spesso si è rovesciata nel suo opposto: la ricerca della validità scientifica dell’alchimia, dello spiritismo o dell’astrologia. Inoltre la scienza empirica è oggi divisa in mille correnti in competizione tra loro per ottenere i finanziamenti del grande capitale e  laddove la ricerca non sia di alcun interesse viene ignorata, se non bandita dall’accademia.  Né si può dire che la superstizione sia tutto ciò che gli uomini e le donne con un’alta istruzione di un’epoca ritengono tale come sostiene Jahoda: la superstizione è trasversale e colpisce tutti gli strati sociali e anche chi ha un altissimo “capitale intellettuale” come dimostra, ancora, il fenomeno degli empiristi studiosi di spiritismo nel XIX secolo, il secolo apparentemente più razionalista della storia della specie umana e, in realtà, il secolo della nascita dell’occultismo borghese. Si tratta, questa, di una definizione troppo relativistica per la critica radicale.

Torniamo per un momento al nostro argomento principale: quasi tutti gli uomini di scienza fino all’illuminismo hanno creduto nell’astrologia, questo non significa che fosse un insieme di tecniche con conseguenze pratiche reali, cioè fosse un insieme di argomentazioni “vere” e non “false”. Con il romanticismo e l’occultismo borghese si è tornati a praticarla in piccole cerchie di studiosi o di giovani fanatici e anche qui molti hanno ricominciato a ritenerla “vera”. Debord affermava che “nel mondo realmente rovesciato il vero è diventato un momento del falso”, ora è in affermazioni come questa, in affermazioni che hanno fatto avanzare la teoria di Marx che si cela il segreto della nostra epoca.

Potremmo accennare alle differenze tra magia e religione a partire dai noti passaggi di Marx in “Per la critica della filosofia del diritto di Hegel”. Quando Marx scrive: “Il fondamento della critica irreligiosa è: l’uomo fa la religione, e non la religione l’uomo”, è chiaro che non abbiamo a che fare con una critica della magia, perché è sempre stato ovvio anche ai maghi che fossero loro ad esercitare il potere magico e non il potere magico ad aver creato loro. Inoltre la famosissima sentenza “la religione è l’oppio dei popoli” qui va presa alla lettera perché non è scontato che le tecniche magiche non si siano prodotte a partire da quelle pratiche per mezzo dell’uso di droghe naturali.

Se la religione è un mondo alla rovescia, quello magico non lo è, esso è più semplicemente il falso che si annida nel mondo alla rovescia dove il vero è diventato un momento del falso. Dunque la critica radicale pur riconoscendo che il vero nella nostra epoca riprende a pretendere i suoi diritti e che lo spettacolo sia in crisi, in quanto la guerra di classe si gioca sempre di più sul piano delle emozioni piuttosto che su quello delle immagini, non si può che sostenere che solo il rovesciamento del mondo possa ristabilire efficacemente la distinzione tra vero e falso, tuttavia non è detto che si debba aspettare la rivoluzione se si pensa a tutti quei momenti in cui il mondo è immediatamente rovesciato: come nell’amore, nelle feste, nella guerra di classe e nel prodursi dell’ingegno umano. 

Non quando tutti ritengono un fatto sociale “vero” esso si trasforma in “vero”, ciò ci dice esclusivamente che la magia è un fatto sociale e storico e non un fatto individuale. Come si spiega tuttavia che la magia nell’epoca contemporanea sia diventata un fatto “individualizzato” pur se socializzato, e che gli individui siano mal disposti a riconoscere la propria superstizione? È perché vi è qualche stigma sociale che la colpisce? Se la risposta è affermativa, allora questo è un aspetto che ci fa sottostimare le statistiche sull’argomento, in quanto le domande solitamente sono troppo dirette e producono reticenza a rispondere con sincerità. Il motivo è ancora spiegato da Mauss: “Se era impossibile, infatti, comprendere la magia senza il gruppo magico, è possibile, al contrario, concepire che il gruppo magico primitivo ha lasciato il posto, in seguito, a bisogni individuali molto generali”. È il passaggio dalla comunità alla società se ancora ha senso utilizzare queste categorie obsolete. Approfondiremo questi argomenti nel prossimo capitolo. Finora ci siamo occupati brevemente delle forme elementari di magia, occorrerà ora comprendere come tali insieme di tecniche si siano evolute, emancipandosi, ma solo in parte, dalle tre leggi della contiguità, della similarità e dell’opposizione. Contrariamente a quanto non si pensi generalmente, il pensiero magico più avanzato, l’astrologia, la più empirica delle superstizioni, è ancora profondamente radicata nelle sue credenze più antiche.

Marx scrive: “L’uomo il quale nella realtà fantastica del cielo, dove cercava un superuomo, non ha trovato che l’immagine riflessa di se stesso, non sarà più disposto a trovare soltanto l’immagine apparente di sé, soltanto il non-uomo, là dove cerca e deve cercare la sua vera realtà”.  Questa affermazione contro la religione è stata ripresa dagli astrologi di formazione marxiana per ribadire che al di là dell’immagine apparente dell’uomo il segno zodiacale non rappresenta che la sua vera realtà e che nel cielo non c’è un superuomo a nostra immagine e somiglianza, un nostro riflesso, ma gli astri che ci determinerebbero così come ci determina la storia o l’ambiente e che questa sarebbe una posizione teorica fondamentalmente materialistica. Nel prossimo capitolo dimostreremo come la credenza nel determinismo degli astri sia falsa, contro-rivoluzionaria e non materialista, e questo per aver conosciuto l’amore, le feste, la guerra di classe e per essere donne e uomini di ingegno.