La mattina di sabato 26 novembre del 2005 il workshop " le forme emergenti dell'abitare" giunge a conclusione, qui troverete un video girato all'interno dello spazio B2 del Mattatoio di Roma che ne restituisce l'atmosfera ad opere concluse. Poche ore dopo le stanze progettate e costruite dagli studenti verranno occupate per le prove da decine di artisti. In serata l'evento festivo riarticolerà questi spazi trasformandoli in una "casa" pensata come un corpo. Troverete la documentazione dell'evento serale nella parte del nostro sito dedicata all'immaginario. Di seguito una relazione scritta dalla ricercatrice Viviana Petrucci che ha avuto un ruolo-chiave e originale nel processo partecipativo del workshop.   

Da individui a cittadini…

Il workshop “Le forme emergenti dell’abitare” ha offerto l’occasione per realizzare un’esperienza di progettazione partecipata, ripensando il concetto dell’abitare partendo da una dimensione vicina, accessibile, conosciuta e vissuta come quella universitaria. Durante il workshop è stato chiesto agli studenti di esprimere i propri bisogni in relazione, appunto,  allo spazio universitario, come luogo di apprendimento, creatività, auto-organizzazione e auto-costruzione; di immaginare per poi costruire il proprio spazio ideale, uno spazio non ostile ma comodo, che accompagnasse lo studente nella sua crescita personale. E’ emersa una difficoltà a liberare la mente dagli stereotipi offerti dalla società contemporanea. La semplice domanda: “come vorresti questo spazio?” nasconde una profonda complessità,  si scontra con la disillusione, con la convinzione latente di non poter cambiare le cose (radicata convinzione d’impotenza). Si è cercato di far capire l’importanza di dare voce ai propri bisogni, che spesso sono bisogni collettivi, e di rendersi partecipi della costruzione del proprio spazio, per avere un’università a misura di studenti piuttosto che a misura di un sistema esterno che impone le sue regole.

La facoltà di architettura per la sua organizzazione didattica prevede lavori di gruppo, costruzione di plastici, lunghe nottate e quindi necessita di strutture che permettano lo svolgersi di queste attività comodamente, in modo rilassato nel rispetto dei ritmi umani. Per questioni logistiche la nostra università non dispone di tali spazi, ma lo studente di architettura dovrebbe essere capace di reinventarli, di chiedere di partecipare alla loro progettazione, di innescare processi partecipati che lo rendano protagonista attivo.

Gli step teorici, che hanno preceduto la parte pratica del workshop, hanno fornito informazioni su esperienze di rielaborazione del concetto di abitare e di spazio sociale da parte di alcuni gruppi di architetti e da parte della ricerca socio-antropologica.

L’interpretazione creativa degli spazi si realizza anche attraverso la sinergia tra diverse discipline quali il teatro, la danza, la musica, gli studi sociali, l’architettura, etc. Questa interdisciplinarietà si è realizzata attraverso dialoghi e scambi tra gli artisti di OSI e gli studenti che stavano costruendo gli ambienti che avrebbero accolto le loro performance. L’auto-costruzione è stata per molti una prima esperienza di cantiere, e come tutte le prime esperienze ha avuto le sue problematiche a partire dalla pulizia, dall’ordine, dall’acquisizione di una metodologia di lavoro. C’è stato un visibile miglioramento nella gestione ed organizzazione del lavoro dei gruppi durante l’arco della settimana. Il materiale utilizzato per la realizzazione delle istallazioni è stato recuperato presso le isole ecologiche dell’A.M.A.. Queste isole sono organizzate in container che raccolgono i materiali in base alla loro natura (legno, ferro, carta, etc.) E’ incredibile la quantità di oggetti in buono stato recuperati e quanto la creatività e la capacità manuale permettano di riutilizzare questi materiali e reinventarne gli usi. L’isola ecologica è una importante risorsa di materie prime e dovrebbe essere facilmente accessibile al pubblico, cosa che in realtà non è.

Questo workshop è stata un’ottima occasione, per  gli studenti e per i docenti, di riflessione su come e quanto l’offerta didattica attuale risponda realmente alle necessità degli studenti e soprattutto quanto prepari alla vita fuori l’università, quanto contribuisca a formare coscienza critica e a sensibilizzare sui temi sociali.

La casa è un diritto di tutti ed è un dovere della nostra professione pensare ad un modello di casa sociale ed accessibile, studiando nuove forme, materiali e soluzioni. L’architettura rischia di perdere il contatto con la realtà, di esaurirsi nella creazione dell’oggetto architettonico; queste occasioni aiutano a confrontarsi con la vita reale e con le proprie capacità, l’imparare facendo che permette di mandare messaggi trasversali e indiretti, di confrontarsi con se stessi e con gli altri.

I tempi tecnici non si adattano ai tempi fisiologici, pensare, riflettere, far sedimentare gli stimoli ricevuti, i propri pensieri. Riorganizzare e rielaborare l’esperienza di questo workshop sperimentale,  per non ridurla ad un’occasione divertente e non ordinaria per accumulare crediti, richiede tempo e luoghi di discussione.

Questa esperienza induce a porsi molte domande, ad esempio: come partecipa l’architettura alla creazione di una società democratica e sostenibile? L’attuale offerta formativa offre stimoli, sensibilizza gli studenti sulla dimensione sociale dell’Architettura? I tempi tecnici della didattica permettono di riflettere, di assimilare i concetti, di sviluppare una coscienza critica? Prepara gli studenti al mondo del lavoro?

L’architetto può costruire un linguaggio comprensibile a tutti, emancipare gli abitanti, cercare di accedere, per poi offrire e condividere, alle informazioni che permettono di sviluppare una coscienza critica e costruttiva, può trasformare le lamentele in proposte, raccogliere i bisogni e i desideri delle persone e tradurli in qualità urbana. La perdita del senso di appartenenza e la rottura dei legami sociali conseguenza di un territorio caratterizzato dall’anomia, tende ad una città di “individui e non di cittadini” (G.M. Apuzzo “Civis: progettare insieme lo spazio urbano”). La progettazione partecipata è contemporaneamente strumento e fine, crea luoghi di dialogo sociale e promuove il passaggio da individui a cittadini. Si pone come anello di congiunzione tra le istituzioni e gli abitanti , non è ricerca di consenso, non deve essere usata per avallare decisioni già prese; è garanzia di trasparenza, luogo di esercizio di democrazia diretta. “ Democrazia e partecipazione, sono la stessa cosa…” ( Perez Esquivel).

 

Viviana Petrucci