In questo post invitiamo a leggere un testo fondamentale sulla psicogeografia scritto da Guy Debord nella primavera del 1959, si tratta di undici tesi, delle annotazioni destinate a Constant, rimaste inedite fino alla pubblicazione nel 2006 del libro "Oeuvres" da parte delle edizioni Gallimard.

il ritorno della colonna durutti

  1. La psicogeografia è la parte di gioco dell’attuale urbanismo. Attraverso questo apprendimento ludico dell’ambiente urbano, noi sviluppiamo le prospettive della costruzione ininterrotta del futuro. La psicogeografia è, se si vuole, una sorta di “fantascienza”, ma la fantascienza di un frammento della vita immediata, le cui proposte sono destinate a un’applicazione pratica, direttamente per noi. Ci auguriamo dunque che le imprese di fantascienza di questa natura mettano in questione tutti gli aspetti della vita, li pongano in un campo sperimentale (al contrario della fantascienza letteraria e del vaniloquio pseudofilosofico che ha ispirato – giacché si tratta di un salto semplicemente immaginario, religioso, verso un avvenire che è scollato dal nostro proprio mondo reale tanto quanto ha potuto essere la nozione di paradiso. Non considero qui i lati positivi della fantascienza, per esempio, in quanto testimonianza di un mondo in movimento ultrarapido).
  2. Come si può distinguere la psicogeografia dalle nozioni vicine, inseparabili, dell’insieme del gioco serio situazionista? E cioè, le nozioni di psicogeografia, di urbanismo unitario e di deriva? Diciamo che l’urbanismo unitario è una teoria – in formazione - sulla costruzione di un ampio scenario. L’urbanismo unitario ha dunque un’esistenza precisa, in quanto ipotesi teorica relativamente vera o falsa (che è come dire che sarà giudicata attraverso una prassi). La deriva è una forma di comportamento sperimentale. Questa anche ha un’esistenza precisa come tale, poiché delle esperienze di deriva sono state condotte effettivamente e sono state lo stile di vita dominante di alcuni individui durante parecchie settimane o mesi. In effetti, è l’esperienza della deriva che ha introdotto e formato il termine di psicogeografia. Si può dire che il minimo di realtà della parola psicogeografico è quello di un aggettivo qualificativo – arbitrario, di un vocabolario tecnico, di un argot di gruppo- per designare gli aspetti della vita che appartengono specificamente a un comportamento della deriva, dato e decifrabile storicamente. La realtà della psicogeografia in se stessa, la sua corrispondenza con la verità pratica, è più incerta. E’ uno dei punti vista della realtà (precisamente delle nuove realtà della vita nella civiltà urbana). Ma noi abbiamo superato l’epoca dei punti di vista interpretativi. La psicogeografia può costituirsi in disciplina scientifica? O più verosimilmente in metodo obbiettivo di osservazione-trasformazione dell’ambiente urbano? Fino a che la psicogeografia non sia superata da un atteggiamento sperimentale più complesso – adattata meglio – dobbiamo tener conto della formulazione di questa ipotesi che ha un posto necessario nella dialettica scenario-comportamento (la quale tende a essere un punto d’interferenza metodologica tra l’urbanismo unitario e il suo impiego).
  3. Considerata come metodo provvisorio di cui ci serviamo, la psicogeografia sarà dunque innanzitutto il riconoscimento di un campo specifico per la riflessione e l’azione, il riconoscimento di un insieme di problemi; poi lo studio delle condizioni, delle leggi di questo insieme; infine delle soluzioni operative per il suo cambiamento. Queste generalità si applicano anche, per esempio, all’ecologia umana il cui “insieme di problemi” – i comportamenti di una collettività nel suo spazio sociale – è in contatto diretto con i problemi della psicogeografia. Consideriamo le differenze dunque, i punti che le distinguono.
  4. L’ecologia, che si occupa dell’habitat, vuole produrre come suo campo un complesso urbano in uno spazio sociale per i loisir ( o talvolta, più restrittivamente, in uno spazio urbanistico-simbolico che esprime e mette in ordine visibile la struttura stabilita di una società). Ma l’ecologia non entra mai in considerazioni sui loisir, il loro rinnovamento e il loro senso. L’ecologia considera i loisir come eterogenei in rapporto all’urbanistica. Noi pensiamo, al contrario, che l’urbanismo domini anche i loisir, che è l’oggetto stesso dei loisir. Colleghiamo l’urbanismo a un’idea nuova dei loisir, come, in un modo più generale, pensiamo l’unità di tutti i problemi di trasformazione del mondo; noi non riconosciamo che una rivoluzione nella totalità.
  5. L’ecologia divide il tessuto urbano in piccole unità che sono parzialmente delle unità della vita pratica (habitat, commercio) e parzialmente delle unità d’ambiance. L’ecologia parte sempre dal punto di vista della popolazione fissata nel suo quartiere – dal quale può uscire per il lavoro e per alcuni loisir – ma dove quella resta basata, radicata. Cosa che causa una visione particolare del quartiere dato, dei quartieri che delimitano e della maggior parte dell’insieme urbano che rimane letteralmente “terra incognita” (cfr. la pianta 1 di Chombart de Lauwe): 1) sugli spostamenti di una giovane ragazza del XVI arrondissement. 2) sulle relazioni di una famiglia operaia del XIII arrondissement. La psicogeografia si pone dal punto di vista del passaggio, il suo campo è l’insieme dell’agglomerazione. Suo osservatore-osservato è il passante (nel caso-limite il soggetto che va alla deriva sistematicamente). Così i ritagli del tessuto urbano coincidono talvolta in psicogeografia e in ecologia (il caso dei ritagli maggiori: fabbriche, binari, etc.) e si oppongono talvolta (principalmente sulla questione delle linee di comunicazione, delle relazioni d’una zona con un’altra). La psicogeografia, a margine delle relazioni utilitarie, studia le relazioni attraverso l’attrazione delle ambiance.
  6. I centri d’attrazione, per l’ecologia, si definiscono semplicemente per i bisogni utilitari (negozi) o per l’esercizio dei loisir dominanti (cinema, stadi, ecc.). I centri di attrazione specifici della psicogeografia sono delle realtà subcoscienti che appaiono nello stesso urbanismo. E’ da questa esperienza che occorre partire per costruire coscientemente le attrazioni dell’urbanismo unitario.
  7. I procedimenti di inchiesta sul campo dell’ecologia, di quelli che avanzano nella direzione delle ambiance, si perdono nelle sabbie mobili di un linguaggio inadeguato. E questo perché la popolazione interrogata, che ha un’oscura coscienza delle influenze di quest’ordine, non ha mezzi per esprimerle. Gli ecologi non gli sono di nessun aiuto perché non offrono uno strumento intellettuale per rischiarare questo campo sul quale non hanno presa scientifica. E il popolo non ha evidentemente le possibilità di una descrizione letteraria, che sarebbe del resto molto deformata (malgrado l’esistenza di intuizioni furtive su questa questione nella letteratura moderna). Un esempio sorprendente è stato dato dalla televisione francese nel gennaio 1959. In una trasmissione (Alla scoperta dei Francesi) che indaga questa volta proprio le condizioni di vita, nel quartiere Mouffetard. Diversi abitanti del quartiere e un ecologo riuniti intorno a un tavolo convennero tutti che il quartiere fosse un isolotto insalubre di orribili tuguri e, allo stesso tempo, un esempio di luogo privilegiato dove vivere. Tutti furono incapaci di definire il fascino di questa isoletta insalubre, tutti rifiutarono la distruzione che è ufficialmente decisa dalla Città di Parigi, e furono ugualmente incapaci di proporre la benché minima prospettiva per risolvere queste contraddizioni. Occorre in questo campo l’apparizione di una nuova specie di praticanti-teorizzatori che per primi sappiano parlare delle influenze dell’urbanismo e le sappiano modificare.
  8. Dissociando l’habitat – nel suo attuale senso ristretto – dall’ambiente in generale, la psicogeografia introduce la nozione di ambiance inabitabili (per il gioco, il passaggio, per i contrasti necessari in un complesso urbano appassionante, ovverosia dissocia le ambiance architetturali dalla nozione di habitat-alloggio). L’ecologia è rigorosamente prigioniera dell’habitat e dell’universo del lavoro (dunque di quell’urbanismo descritto nella conferenza dell’Accademia voor Bouwkunst come “un’organizzazione di edifici e di spazi secondo principi estetici e utilitari”). Credendo di afferrare così nei loisir la vita libera, l’ecologia non afferra, in effetti, che la loro pseudo-libertà in quanto sotto-prodotto necessario dell’universo del lavoro.
  9. Questo dominio del tempo sociale del lavoro riduce a poca cosa le variazioni orarie dell’ecologia (essenzialmente ai momenti di spostamento di massa dei lavoratori e agli intervalli tra questi momenti). Per la psicogeografia al contrario ogni unità d’ambiance deve essere considerata in funzione delle sua variazioni orarie totali di giorno e di notte, e, allo stesso tempo, delle sue variazioni climatiche (stagione, temporali). La psicogeografia deve tener  conto dei cambiamenti di illuminazione (naturale e artificiale), e, per questa ragione, dei cambiamenti di popolazione attraverso il tempo – analogamente se in certe suddivisioni di una giornata di ventiquattro ore le classi di popolazione interessate siano numericamente molto limitate.
  10. L’ecologia trascura, e la psicogeografia sottolinea, le giustapposizioni di popolazioni diverse in una sola zona. Perché può essere una parte della popolazione, la più infinitamente limitata, che domina l’ambiance umana della zona.  Per prendere a esempio il quartiere Saint-German-des-Prés intorno al 1950, architetturalmente, ecologicamente e socialmente perfettamente borghese e piccolo-borghese (e anche al massimo dell’insediamento religioso), la presenza da cinquanta a cento individui nella strada – e alcuni bar – cancellava totalmente per quel che riguarda l’ambiance e lo stile di vita,  il “vero” quartiere, la popolazione delle case senza contatto con la strada. E il fatto era così oggettivo che costituiva un’attrazione turistica internazionale. Cosa che sottolinea il carattere parziale, unilaterale, di uno sforzo di comprensione di una zona urbana attraverso lo studio esclusivo dei suoi abitanti. È più interessante sapere ciò che può attirare in qualche luogo coloro che abitano altrove.  
  11. L’ecologia si propone lo studio della realtà urbana d’oggi, e ne deduce alcune riforme necessarie per armonizzare l’ambiente sociale che conosciamo. La psicogeografia, che non ha senso se non come dettaglio di un’impresa di capovolgimento di tutti i valori della vita attuale, sta sul terreno della trasformazione radicale dell’ambiente. Il suo studio di una “realtà urbana psicogeografica” non è che un punto di partenza per delle costruzioni più degne di noi.

Guy Debord

da Guy Debord, Oeuvres,
Quarto Gallimard, 2006, pp.457-462.