Recensione del libro di Andrea Tiddi, Le Origini dell’Europa Antica, Protopop Edizioni, Genzano di Roma, 2015.

 

Nelle ricerche urbanistiche più avanzate si è spesso constatata un’ambiguità di fondo nelle forme di condivisione e cooperazione che caratterizzano i territori più sperimentali della città contemporanea. Spesso tale ambiguità è attribuita alla condivisione stessa che sarebbe sempre lacerata tra individualismo e apertura verso l’altro e quasi mai al fatto che essa debba convivere con una società ferocemente selettiva e competitiva. Il libro di Andrea Tiddi “Le origini dell’Europa Antica” individua un fondamento nascosto e rimosso della società occidentale, un fondamento che si è imposto in tutto il globo, che avrebbe la sua origine in due “evoluzioni parallele” delle comunità neolitiche discendenti dai cacciatori e raccoglitori del Mesolitico, che è illuminante per individuare il trauma che ha generato molti aspetti delle società storiche, tra cui proprio la tensione antagonistica tra cooperazione e competizione.

ratto di europa

Nelle ricerche urbanistiche più avanzate si è spesso constatata un’ambiguità di fondo nelle forme di condivisione e cooperazione che caratterizzano i territori più sperimentali della città contemporanea. Spesso tale ambiguità è attribuita alla condivisione stessa che sarebbe sempre lacerata tra individualismo e apertura verso l’altro e quasi mai al fatto che essa debba convivere con una società ferocemente selettiva e competitiva. Il libro di Andrea Tiddi “Le origini dell’Europa Antica” individua un fondamento nascosto e rimosso della società occidentale, un fondamento che si è imposto in tutto il globo, che avrebbe la sua origine in due “evoluzioni parallele” delle comunità neolitiche discendenti dai cacciatori e raccoglitori del Mesolitico, che è illuminante per individuare il trauma che ha generato molti aspetti delle società storiche, tra cui proprio la tensione antagonistica tra cooperazione e competizione. Si tratta di due prototipi ecologici di base, quello agricolo e quello pastorale, cui corrispondono due morfologie spaziali differenti e due forme di relazione con lo spazio del tutto diverse che porteranno a istituzioni, formazioni sociali e sistemi di valori tra loro opposti. Pur riconoscendo la complessità e la diversificazione delle società agricole e pastorali, qui si è tentato di produrre due modelli “logici dinamici” attraverso uno studio di mitologia comparata, senza alcuna pretesa prescrittiva ma senz’altro con l’ambizione di un grande racconto antropologico, facendo interagire diverse discipline scientifiche, dall’archeologia alla linguistica, dalla storia alla mitologia, dalla sociologia all’economia, dall’antropologia al folklore. La tensione antagonistica tra cooperazione e competizione troverebbe spiegazione in un primordiale conflitto tra agricoltori sedentari europei, dediti al culto della Madre Terra, e pastori nomadi indoeuropei provenienti dal Caucaso, che veneravano divinità guerriere. Se lo spazio europeo era caratterizzato da un clima temperato e da una natura prospera, lo spazio della steppa caucasica era caratterizzato dalla scarsità e dalla penuria. Nel primo tipo di spazio le popolazioni erano sparpagliate e sedentarie, nel secondo erano nomadi e conoscevano la cavalcatura in un paesaggio che appariva illimitato. Le condizioni ecologiche sono la base necessaria e materialistica che portò le popolazioni d’Europa all’agricoltura e quelle del Caucaso alla pastorizia. Vi sono molti autori che accompagnano e indirizzano questa ricerca, tra cui Morgan, Childe, Marx ed Engels, Benjamin, Schmitt e Agamben, ma ci sembra di poter dire che essa precisa e approfondisce soprattutto le tesi dell’archeologa e linguista lituana Marija Gimbutas. Andrea Tiddi non sottovaluta che le prime agglomerazioni urbane vere e proprie siano state realizzate da cacciatori e raccoglitori e che probabilmente proprio questa sedentarizzazione abbia favorito in un ambiente non ostile il passaggio all’agricoltura e non il contrario, ma ciò che interessa l’autore è la dimostrazione con numerosissimi esempi tratti da diversi ambiti che la vita delle popolazioni di agricoltori dell’Europa neolitica era centrata sull’attività di cura, egualitaria (quindi non vi era una sovranità matriarcale perché non vi era stata inventata alcun tipo di sovranità), matrilineare perché il ciclo di nascita-morte-rinascita era prerogativa dell’elemento femminino (le donne partorivano come per partenogenesi ed erano le custodi dei segreti della coltivazione),  cooperativa, in cui non vi era una vera e propria separazione tra sacro e profano e basata sulla terra, unica vera divinità, la Dea Madre, come bene comune. Mentre la vita delle popolazioni pastorali nel neolitico era centrata sull’addomesticazione degli armenti e la loro uccisione, aspetto che le portò a trasferire lo sfruttamento dell’uomo sull’animale con tutti i suoi utensili che davano la morte a quello dell’uomo sull’uomo, le donne erano subordinate e merce di scambio esattamente come gli armenti, donne e armenti sono qui considerate come la prima moneta, erano popolazioni gerarchiche, competitive e che concepivano il sacro in modo strumentale, come una sorta di scambio economico con la divinità, in cui non la terra ma il cielo che la fecondava dominava l’orizzonte rituale. Quanto alla terra, vi sono pagine di fondamentale importanza che chiariscono la nascita del paradigma della governamentalità. Nel “Nomos della Terra” Schmitt cita il filologo Jost Trier: “In principio c’è il recinto”, Andrea Tiddi dimostra che il recinto è un’invenzione dei pastori per concentrare gli armenti e non degli agricoltori. Gli agglomerati degli agricoltori neolitici non hanno fortificazioni, essendo popolazioni che scambiavano pacificamente il surplus tra di loro non avevano bisogno di enclosure. Il recinto che delimita uno spazio illimitato, che ben presto stabilisce relazioni di inclusione ed esclusione sociale, è originario della steppa e non degli spazi europei. S’inventa il limes al di fuori del quale si è homo sacer, lupi, stranieri, nemici e un tale confine ha bisogno di guerrieri che lo difendano. Ma non è ancora l’invenzione della proprietà terriera. Questa avverrà quando i pastori indoeuropei ormai specializzati nell’arte della guerra, capaci di crudeltà inaudite, inebriati da bevande fermentate e da rituali violenti (come quello di attribuirsi la potenza del lupo) in cui le divinità armate del cielo sono invocate, invaderanno le pacifiche popolazioni agricole dell’Europa che si erano affermate per tre millenni, una successione di invasioni, in cui i villaggi venivano bruciati, i maschi e i bambini uccisi, le donne rapite, i raccolti saccheggiati, non senza resistenze e controffensive, quel fenomeno che Bachofen chiama “amazzonismo”, durata  molti secoli che segna il passaggio dal Neolitico all’Età del Bronzo. La società dei pastori indoeuropei impone, con varie gradazioni, ai vinti il proprio sistema religioso, le proprie istituzioni, le proprie gerarchie e la cultura dei vinti rimarrà sottotraccia mai del tutto cancellata, arrivando fino a noi nel folklore, nell’utopia, nell’immaginario, nella disposizione di apertura verso l’altro . Una società mista da cui si è originata la nostra, basata sulla mentalità della penuria e della scarsità tipiche della steppa, in cui con la sedentarizzazione dei pastori la terra non è più considerata un bene comune, ma recintata, delimitata, inizio della forma-Stato, espropriata agli agricoltori e allo stesso tempo lavorata da loro per arricchire i dominatori, inizio dell’alienazione nel lavoro e dell’accumulazione di ricchezza. Andrea Tiddi problematizza, inoltre, la tripartizione di Dumézil della società indoeuropea in sacerdoti, guerrieri e produttori di cui farebbero parte anche gli agricoltori. Una parte degli agricoltori furono addomesticati, come si addomesticano gli armenti, ma alcuni, indomiti, restarono dei ribelli e questi furono trasformati in schiavi. Dunque più che davanti a tre caste ci troviamo davanti a quattro caste, l’ultima delle quali è quella degli schiavi, delle donne, degli esclusi, o meglio a una “dualizzazione”: i dominanti e i dominati. Tale società mista è all’origine di tutte le contraddizioni delle nostre società occidentali o occidentalizzate, della continua tensione tra cooperazione e competizione, ma anche della divisione in classi, dell’alienazione umana, dell’accumulazione di ricchezza e della povertà generalizzata, dello sfruttamento dell’uomo sulla natura, dell’uomo sull’uomo e soprattutto dell’uomo sulla donna. In questo senso Andrea Tiddi propone un’uscita dall’orizzonte delle steppe, scordatevi qualsiasi nomadologia, perché tutte queste contraddizioni hanno un’origine spaziale e materiale: la penuria e scarsità della steppa.